Home/Lo sapevi che.../La plasticità cerebrale

Un dato interessante, che ci viene fornito dal medico e ricercatore Lamberto Maffei, ci dice che il numero dei nostri geni contenuti nel DNA sia di circa 20.000, mentre il numero delle sinapsi presenti nel nostro cervello sia di circa un milione di miliardi (1.000.000.000.000.000).

Da questo dato possiamo intuire che un rapporto 1:1 tra gene e cellula nervosa – un gene determina una cellula nervosa – non possa esistere. Qualcosa di molto più complesso accade.

Infatti, il sistema nervoso ha la straordinaria capacità di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a partire da stimoli, che possono provenire dall’organismo stesso (endogeni) e/o dall’ambiente esterno (esogeni). Questa proprietà è detta plasticità cerebrale.

 

Da cosa partono questi cambiamenti strutturali e funzionali?

 


Il punto di partenza è il genoma umano, ossia il patrimonio genetico di una persona, composto da 23 coppie di cromosomi, contenenti DNA, contenente i geni. Tra questi geni ce ne sono alcuni specifici della nostra specie, geni che ci rendono umani, che si sono evoluti a partire dai nostri progenitori e che sono stati tramandati fino ad oggi: ad esempio i geni che controllano la divisione cellulare, lo sviluppo embrionale e la deambulazione su due piedi. Esistono poi altri geni che determinano una variabilità all’interno della specie stessa, che può riguardare gruppi ampi (colore della pelle, lineamenti del volto, eccetera) o una singola famiglia. 

Alla partenza, quindi, siamo indubbiamente umani e allo stesso tempo siamo diversi. Ma non è finita qui. Quando un essere umano nasce, si ritrova immerso in un ambiente, con il quale si influenza reciprocamente lungo tutto l’arco della vita. Questo rapporto produce modifiche plastiche al sistema nervoso. Le modifiche possono avvenire a carico della struttura neuronale (ad esempio il numero delle sinapsi aumenta o diminuisce) oppure a livello funzionale (ad esempio si ha un maggiore o un minore rilascio di neurotrasmettitori). Di conseguenza questi cambiamenti microscopici si traducono in modificazioni macroscopiche, a livello di intere aree cerebrali. 

 

Quando avviene questo processo? 

 

Il picco avviene alla nascita e durante i primi anni di vita, durante il cosiddetto “periodo critico” o “sensibile”. Qui i neuroni sono nella fase di attività spontanea. Il bambino esperisce incondizionatamente, non ha controllo sulla situazione. Sono gli adulti a dover garantire un ambiente controllato, all’interno del quale avviene il “riarrangiamento” o “rimodellamento” sinaptico, che implica il mantenimento delle sinapsi là dove sono state più stimolate. A partire dai primi anni, dunque, vengono poste le basi per un sistema nervoso sempre più complesso e raffinato, che si completa all’incirca in età adolescenziale.

Quando termina il “periodo critico”, comincia una forma “adulta” di plasticità, che si differenzia dalla prima plasticità per le modalità di funzionamento in cui essa avviene. Il cervello adulto non fa esperienza del mondo in maniera incondizionata, come fa il cervello di un bambino, ma rielabora attivamente gli stimoli utilizzando delle strategie: riconosce la significatività di uno stimolo, focalizza la sua attenzione su ciò che è ritenuto più importante, è in grado di categorizzare ciò che ha di fronte. In altre parole, il cervello adulto diventa selettivo e rielabora le informazioni in entrata. A livello strutturale e funzionale accade un enorme cambiamento: la corteccia cerebrale – la parte più esterna del cervello – si specializza sempre di più, rendendo ciascun individuo unico rispetto agli altri. 

 

E qual è il risultato?     

                                                                                                                


La plasticità cerebrale modula il comportamento, ossia le azioni e gli atteggiamenti manifesti. Ma influenza anche il pensiero: ad esempio possono variare le modalità in cui le persone fanno dei ragionamenti o prendono delle decisioni. 

Molte discipline si occupano di studiare gli effetti della plasticità cerebrale, come la neurofisiologia e la neurobiologia, le neuroscienze e la psicologia. La collaborazione tra scienza e clinica è fondamentale per comprendere a pieno questo processo e, in particolare, per promuovere lo sviluppo di nuove modalità di educazione, di intervento e di riabilitazione nei casi di disturbi (evolutivi o acquisiti), malattie o danni cerebrali.

 

Gli ambiti applicativi

 

La plasticità cerebrale può essere indotta da apprendimento, da influenze ambientali e, purtroppo, anche da invecchiamento, lesioni, traumi e disturbi. Il cervello è programmato per rispondere a questi fattori, cercando di rimodellarsi e talvolta aggiustarsi da solo. Tuttavia, gli esiti della plasticità cerebrale possono essere perseguiti anche grazie a degli aiuti esterni, da parte di coloro che studiano il cervello e il suo funzionamento. Ad esempio insegnanti ed educatori possono rafforzare l’apprendimento degli studenti. Medici e riabilitatori possono stimolare il recupero di abilità cognitive in pazienti con lesioni cerebrali. Psicologi e psicoterapeuti possono aiutare le persone a gestire i pensieri e gli stimoli esterni in maniera funzionale. Tutti questi interventi hanno un forte impatto sul sistema nervoso e hanno una ripercussione sul benessere degli individui. 

 

In conclusione, esattamente come un muscolo, anche il cervello può essere allenato. A qualsiasi età il sistema nervoso mantiene delle potenzialità incredibili, che è bene saper sfruttare.

 

Use it or lose it! 

 

Bibliografia

 

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